venerdì 29 gennaio 2016

Piccole bugie tra amici (Les petits mouchoirs)

E' un esempio di come il cinema possa sostituire la soap opera con un significativo risparmio di tempo (Beatiful va in onda dal 1987) e un apprezzabile innalzamento di livelli (temi, linguaggio, interpretazioni). In questa commedia di Guillaume Canet c'è tutta la promiscuità che serve: Parigi e villa al mare, amici che si ritrovano a cadenza fissa, vino (rosso e bianco), amori nascosti, omosessualità dichiarata in un caffè, ossessioni e riconciliazioni, schiaffi, incidenti stradali, lutti e orazioni funebri. La casistica borghese dei sentimenti è completa - pur senza gli eccessi dell'incesto sistematico o il familismo mafioso dei Forrester. Insomma, la comicità non è mai involtaria, e lo spettatore si diverte con gusto, ben lontano da sperare in uno tsunami che devasti il set. Inoltre, c'è Marion Cotillard. Anche Francois Cluzet, bisogna ammetterlo, è efficacissimo; nessuno demerita.

martedì 26 gennaio 2016

La corrispondenza

Non è l'opera perfetta; la prolissità dei sentimenti è nel carattere cinematografico di Tornatore. Di fatto, però, un intero complesso di emozioni si attiva in modo prodigioso - non per una battuta, un gesto o una sequenza: c'è un'assenza tremenda in cui si cerca l'amato, e ne conseguono lunghe atmosfere, una traghettata verso l'al di là, il camino acceso nella casa di Borgoventoso, il computer che va a singhiozzo, un sms, un video - periodi sbalorditivi, di occhi (lucidi) che bramano una traccia, un sospetto, o un appiglio fra oggetti nudi, svuotati. Lo spettatore è con Amy in attesa che Ed si manifesti. Non si desidera l'inerzia dei ricordi, ma risposte, interazioni che aggiungano qualcosa alla loro storia. Come la luce che punteggia la notte proviene da una stella morta, ogni amore tenta di attraversare questo spazio-tempo in cerca di vita, che non basta mai. Perciò "La corrispondenza" è eccessivo, e si fa perdonare (è disperato). Anche in poesia, certe parole risultano essere di troppo. Ma un afflato misterioso le cancella, lascia che solo il senso resti, averbale, fisico, tutt'intorno allo sterno. Il riposo degli amanti è silenzio; un cielo stellato il loro sogno reciproco; pur senza dirsi addio non smettono mai d'allontanarsi, di affievolirsi verso l'Eterno.

sabato 23 gennaio 2016

Linea M

Poche fermate in autobus davvero faticose: ammorbato da un tossico che, nelle retrovie, ridacchiava in pieno voyage. Alcuni giovanotti dell'entroterra lamentavano, con la felpa a mo' di maschera antigas, la "puzza di cammello". Ma ho trovato ingiusto conferire quel miasma feroce a un animale così docile e mansueto. Giunti al porto speravano addirittura che l'uomo scendesse a lavarsi, ipotizzavano striglia e sapone depositati su una panchina della darsena: nella disperazione si ingenerano, di fatto, aspettative simili al miracolo.

giovedì 21 gennaio 2016

Philip K. Dick

Il libraio mi aveva messo in guardia su Philip K. Dick: bisogna conoscerne la biografia prima di leggere i suoi romanzi. Io sapevo quel poco ricavato dagli adattamenti cinematografici e dai soliti svogliati spiluccamenti su Wikipedia (droghe, allucinazioni, mogli, vagabondaggio), ma non è bastato per fornirgli attenuanti. "Radio libera Albemuth", nella fattispecie, è risultato di una bruttezza stupefacente. Sciatto e incentrato su noiosi complotti planetari e totalitarismo paranoico, scritto in prima persona nella cronica autoreferenzialità statunitense, scandito da esclamazioni, interiezioni, sconfina di continuo nella spacconata e nella mania di persecuzione. Ho voluto sondare dopo essere incappato in "Minority Report" di Spielberg, talmente orrendo da indurre a un'indagine sul maestro della fantascienza. Con fatica sono arrivato a pagina 122, estenuato anche dai refusi dell'edizione celebrativa Fanucci ("Speciale Philip K. Dick 1982-2012" a soli euro 6,90).

martedì 19 gennaio 2016

Carol

Buono, senza pruriti lesbo, incentrato sui sentimenti: teso a "normalizzare" l'omosessualità. La Blanchett sciantosa accende una sigaretta dietro l'altra; Rooney Mara incantevole per spontaneità e continue sfumature - ruba la scena anche alla diva. Tutto il resto è ombra.

giovedì 14 gennaio 2016

Giovane e bella

Mi ha interessato l'argomento e il punto di vista adottato: un'eziologia esplicita, una certa "spudoratezza" nell'analisi che scruta famiglia, scuola, rapporti a margine di una prostituzione volontaria. Il sesso rappresentato, invece, talvolta risulta goffo, o noioso. Quindi: sì al preambolo, ai silenzi in cui si covano propositi e degrado; sì al fratellino guardone, ai sottovoce maliziosi; sì a insinuazioni e malignità; no agli amplessi veri e propri, col su e giù da mal di mare. Nell'insieme, un'opera onesta, ben scritta, ma con attori (Marine Vacth a parte) senza infamia e senza lode. La madre, in particolare, non è proprio memorabile. In verità, Ozon non sembra occuparsi granché delle interpretazioni - l'unica a staccarsi è la protagonista - insieme a Georges, il cliente infartuato, e sua moglie (una Charlotte Rampling che ipnotizza lo spettatore).

Scheda da "Gli spietati"

http://www.spietati.it/z_scheda_dett_film.asp?idFilm=2073

Synecdoche, New York

Produzione travagliata, ma risultato interessantissimo, con intuizioni e colpetti di genio sparsi. Philip Seymour Hoffman interpreta Caden Cotard, regista ipocondriaco e depresso che a seguito di un premio, e dopo un'intera carriera dedicata ai classici rivisitati, medita una piece finalmente personale, "sincera". Abbandonato dalla moglie pittrice, tra gli stenti di una vita affettiva che deperisce nella multifobia, inizia a elaborare il suo progetto grandioso: una scena collettiva, in una specie di hangar, dove rappresentare la verità. La sineddoche ridimensiona in termini narcisistici questo Tutto (New York) in un piccolo orticello privato: l'esistenza del regista e le sue relazioni fallimentari. Il Tempo sfugge: dopo anni di prove inconcludenti, un anziano che ha osservato il processo fin dall'inizio, si candida a interpretare il regista (il personaggio Caden Cotard), e inizia a seguirlo (come un'ombra) per entrare meglio nella parte. Presto è chiaro che la scena è anzitutto a casa; la nuova moglie, per esempio, è un attrice che interpreta se stessa; poi anche lei abbandona Cotard, e viene sostituita, pur restando - come personaggio - nello "spettacolo". Il vero soggetto della rappresentazione diventa il laboratorio teatrale in sé, e i rapporti fra attori e personaggi. Questo continuo sdoppiamento di ruoli a tratti è esilarante, con Cotard pedinato dal suo alter ego, il quale a sua volta ne subisce uno di scena, e così via. Sosia grotteschi, comparse rimproverate perché non camminano "come cammina la gente", l'assistente vera e quella che la impersona, gli incroci tra realtà e finzione, gli scambi d'identità - il gioco al massacro della rappresentazione (vita è teatro, teatro è vita) rimanda di continuo alla farsa interiore dell'artista e a una schizofrenia emotiva senza limiti.

mercoledì 13 gennaio 2016

Un sapore di ruggine e ossa

Alì è un buzzurro con la fissa dei combattimenti; ha pochi argomenti di conversazione e un figlio a carico. Ripara dalla sorella, in un contesto triste e periferico senza nemmeno l'ombra dei servizi sociali; poi viene assunto come buttafuori. Una sera, intervenendo a sedare una rissa, conosce Stephanie (Marion Cotillard). I dialoghi rudi mentre la accompagna a casa, e una certa tensione quando scopre che è fidanzata e fa l'ammaestratrice di orche (foto alle pareti), introducono la storia d'amore. Che non comincia subito perché la Cotillard ha un incidente e resta menomata: emaciata di suo, tutta nasino e Francia (Parigi), senza gambe darà il meglio. Lui, infatti, al cospetto dei monconi non fa una piega, anzi, propone gite al mare, bagni, normalità, un po' di sesso riabilitativo. C'è una delicatezza "fattiva" in Alì, senza pietismo, che giova alla causa (di Stephanie, e anche dell'opera). Film intenso, bello nonostante il titolo pretenzioso che sa d'arte funeraria.

sabato 9 gennaio 2016

Macbeth

Ieri Macbeth, in comitiva (e dietro mia proposta). Non è piaciuto a nessuno, per la "pesantezza" dei dialoghi tratti alla lettera dalla celeberrima tragedia. Nella sbrigativa conferenza tenutasi all'Old Wild West, si è subito capito che il vero problema del film è Shakespeare. Il resto, a detta dei più, "poteva anche andare". Io ci tenevo a vedere Fassbender al cinema, e fino alla grigliata era perlopiù soddisfatto: l'impianto dell'opera tocca sì il manierismo; e l'eccesso icastico, con gruppi di personaggi in posa, insieme a una smodata ricerca di simmetrie (tout court), lo rende un po' statico (c'è una componente di pittura e di teatro che rischia di prevalere su quella cinematografica). Gli attori, tuttavia, rimediano con innegabile grandezza: anche Marion Cotillard - una Lady Macbeth emaciata che, infine, lacrima sulla propria istigazione. In generale, belle atmosfere con tanta nebbia, paesaggi montuosi, cieli funesti e spettri, uomini sordidi coperti di cicatrici; e interni gotici, candele, banchetti sfarzosi, ombre e paranoia dappertutto.

venerdì 8 gennaio 2016

Two mothers

Adattamento cinematografico di un romanzo di Doris Lessing con titolo più interessante ("Le nonne"). Il film, forse per componenti francesi un po' fumose, regredisce nello standard edipico delle madri patinate, Naomi Watts e Robin Wright: due amiche per la pelle quasi lesbiche. Vivono in simbiosi fin da bambine e contagiano questa morbosità esclusiva anche ai loro due figli, giovani adoni del surf. All'inizio, milf in intero e paglietta, osservano la splendida prole sui cavalloni australiani, preparano loro cenette da servire in una terrazza con vista sull'Oceano, bevono calici di vino bianco, giocano a carte tutti e quattro fra doppi sensi, allusioni sessuali e discorsi nemmeno troppo intelligenti, ma comunque ascrivibili a una mentalità apertissima. Per inciso, Naomi Watts è rimasta vedova molti anni prima; Robin Wright, invece, ha un marito professore che subisce la situazione con vaga insofferenza, al punto da chiedere e ottenere il trasferimento all'università di Sydney. Ma il proposito di allontanare la famiglia dalla torbida baia fallisce: quando parte (da solo) per un paio di settimane di prova, l'ineluttabile è già alle porte. Il figlio della vedova, infatti, è innamorato di sua moglie. Si assiste, quindi, a un incesto per interposta persona, con gli adoni che, di fatto, si scambiano le madri come fossero tavole. Sarei curioso di leggere il romanzo per sondare meglio la dinamica psicologica: il film di Anne Fontaine semplifica di brutto, le due amiche accettano la tresca con relativa disinvoltura, anzi, riconsolidano la loro alleanza sulla base di questo incrocio "pericolosissimo", mentre i figli continuano a surfare. Il soggetto, buono, è un po' sprecato - nonostante la verve delle attrici, sedotte da un copione che vorrebbe affermare i valori di una femminilità liberata (anche dalla maternità), sebbene altruistica e, infine, votata al disastro: quando la Watts viene abbandonata per una ragazza più giovane, anche la Wright tronca col suo Edipo: è giusto così. Poi gli adoni si sposano e diventano papà, e le madri-amanti nonne. In chiusura, i quattro sono ancora insieme, stesi al sole dell'Australia: in rapporto alla sovraesposizione, risultano essere un po' troppo pallidi.

giovedì 7 gennaio 2016

Il Barbatromba

Era una piovosa mattina di novembre (mi trovavo davanti al Palazzo di Giustizia) quando arrivò la notifica Fb: Gianrico Barbatromba (cambio il nome per decenza) aveva accettato la mia richiesta di amicizia. Potrei giurarlo: non avevo inviato nessuna richiesta, non avevo nemmeno mai visto quell'uomo (un obeso con occhiali alla Brecht). Non so come sia potuto accadere (i polpastrelli, lo smartphone...), però siamo ancora amici. Io sono un po' all'antica: non avendo avuto la prontezza di chiarire subito l'equivoco, ho a lungo covato il proposito di cancellare Barbatromba in silenzio, senza che se ne accorgesse. Ma anche il verbo "cancellare", in rapporto a un signore così voluminoso, mi pareva sconveniente. Mentre esitavo, ho avuto modo di scoprire la sua educazione (tra gli stati quotidiani non mancano laconici buongiorno, buonpomeriggio, buonasera e buonanotte), e la sua frenetica attività divulgativa: condivisioni a getto continuo, musica di ogni genere a tutto spiano, link di scultori e pittori maggiori e minori; ogni 15/20 minuti sgrana una perla dall'inesauribile baccello Youtube. Tutta questa esuberanza culturale non lenisce, però, il pessimismo cosmico di Barbatromba: con frequenza di circa 45/60 minuti arrivano, lugubri pullman, sermoni di autocoscienza sociopatica, di autodiagnosi depressiva, di autodistruzione promessa. Ecco, per esempio, che fra le persone che "potrei conoscere" mi giunge - in comune col Barbatromba - un "Amico della Maremma", con foto di busto maschile glabro, e pube criptato da apposita finestra (si apprezzi il simbolismo: dietro la finestra, il Maremmano). L'amico della Maremma, infatti, è subito percepibile come entità doppia (il viandante e il suo bastone). Anche a seguito di questo fortuito incontro, ho visto il Barbatromba sotto un'altra luce: un bagliore di schizofrenia e omosessualità (da solitudine). Il serioso divulgatore di Gloria Gaynor, di Virginia Woolf, di Martin Scorsese e del Kamasutra (indimenticabili i commenti tecnici sul "tratto"); il pessimista di riferimento per una cerchia di cinquanta-sessantenni devastati dall'ozio, ha svaghi un po' ellenici. Ne sono lieto: ci tengo, alla felicità dei miei amici.

mercoledì 6 gennaio 2016

Nei mari estremi

Questo libro di Lalla Romano è un memoir amoroso, e non può che parlare (anche) di morte. Non ci sono cadute macabre né compiacimenti sentimentali. Consta di due parti: la prima, "Quattro anni", relativa alla conoscenza col futuro marito Innocenzo Monti; la seconda, "Quattro mesi", resoconto della malattia di lui, "diminutio" e progressivo allontanamento che lo condurrà alla Fine (ma l'Eterno, come si dice nella postfazione, è tempesta). Un'opera di altissima testimonianza umana, di sentimenti grandi, senza pose né allusioni monumentali, in cui riverbera con spaventosa purezza il mito di Eros e Thanatos. L'amore, nella maggior parte dei casi, implica un addio tragico, e il dilemma: meglio morire prima o dopo dell'altro? Il "destino biologico" non si può decidere, va da sé, e il libro lo racconta affidandosi a una prosa asciutta, levigata. Gli affetti, l'amicizia, i ricordi dell'infanzia, tutto converge in questa storia a due, tra libertà e possesso, spirito e carnalità. C'è Lei, l'artista coi suoi egoismi e slanci, l'intemperanza, la pretesa di vita selvaggia; e c'è Lui, Innocenzo, l'uomo di banca che fa carriera, poeta che non scrive, ma erudito, fruitore d'arte - superiore in tutto poiché senza atteggiamenti, senza vanità d'autore. "Nei mari estremi" è una sorta di omaggio, l'ultimo, all'uomo meraviglioso, il compagno, il maestro di pietà di Lalla Romano - degno dell'amore che li ha uniti in vita, questo sentimento è rivissuto pagina dopo pagina con onestà e, in una certa misura, con sconcerto: perché è assurdo che sia finito (in due tombe sovrapposte, come stavano nel vagone letto; lui sotto, lei sopra). In termini letterari il romanzo è formidabile, aggira l'autoreferenzialità per osservare con distacco perfino la disperazione - senza urlarla, senza gettarla addosso al lettore. Tutto è sobrio, se non addirittura austero - una bellezza senza ornamenti, di pensiero filosofico che amoreggia, di astrazioni che si fanno corpo, e talamo. Ancor più di un libro stupendo, una lezione, una vera e propria "stilistica" dell'Amor Profano.

martedì 5 gennaio 2016

Il ponte delle spie

Mi ero ripromesso di contare quante volte sarebbe apparsa la bandiera americana. Tuttavia amo il cinema, non l'aritmetica - e Spielberg resta comunque un patriota con un senso della Costituzione da sbandierare ai quattro venti. Nella fattispecie, il suo eroe è un avvocato che in piena Guerra Fredda accetta di difendere la solita spia russa impassibile (però dedita alla pittura e con un debole per Shostakovich). Il regolare processo che si istruisce ha un mero valore simbolico e dimostrativo, ma Tom Hanks - che per Spielberg è già sbarcato in Normandia - se la prende a cuore: prima ottiene un insperato rinvio; poi, osteggiato dai colleghi, dal giudice e dall'opinione pubblica (che vorrebbe il comunista già accomodato sulla sedia elettrica) riesce addirittura a salvare l'assistito da un'ovvia condanna a morte - questo nell'eventualità di uno scambio di prigionieri con l'Unione Sovietica. Di lì a poco, un U2 viene abbattuto e il pilota catturato. Frattanto, a Berlino, un neolaureato americano decide di andare avanti e indietro per il Muro in costruzione, e viene arrestato dalla polizia della Germania Est. Si profila, quindi, la possibilità di uno scambio. L'avvocato, senza compenso né protezione, viene incaricato dalla Cia di negoziare coi russi per ottenere indietro l'aviere. Hanks, figuriamoci, non si accontenta: vuole anche il neolaureato (in economia). Va a Berlino, alloggia in un tugurio (gli agenti della Cia, invece, all'Hilton); e mentre si reca all'ambasciata sovietica (sta nevicando) gli rubano il cappotto. Ma viene ricevuto lo stesso. Tratta con molta arguzia. Non solo: sebbene raffreddato, incontra un avvocato DDR per il rilascio dell'improvvido economista. Hanks fa il doppiogioco meglio di una spia vera. Il filmone mette in scena valori umanitari di prim'ordine, ridicolizza i servizi segreti, in particolare un agente Cia preso di continuo a pesci in faccia, e ribadisce al mondo intero la grandezza degli Stati Uniti d'America. Peccato solo non aver inserito "The star spangled bunner" nei titoli di coda.