martedì 28 luglio 2015

Estate

Ho cominciato, così spero, l’esplorazione del Sinis. Zona pericolosa, di sciagure balneari: la costa occidentale è nota per gli annegamenti in riva. La puntata a S’acqua mala (Maimoni) ci ha impressionati, una litorale di quarzi, abbacinante, e il mare cobalto. A Cabras, il paese dello stagno (e dei muggini), gente torva, un’atmosfera piena di rancori e noia alcolizzata; bar squallidi, perlopiù. Si respira l’ostilità per il forestiero, la ripugnanza per il concetto stesso di turismo. Nel chiedere informazioni ho confuso una pasticceria con il forno del pane, e sono stato biasimato da ben tre signore di passaggio, neanche avessi preso il Louvre per Beaubourg. Nei dintorni, domina il caso, la natura un po’ sciatta, bassa, crepitante. A bordo strada, finocchietto selvatico a distese; filari di palme intatte (il punteruolo rosso qui non si è fermato). Più giù, invece, tappa alla marina di Arborea. La tranquillità di una spiaggia dall’età media elevatissima: arzilli ottantenni che prendono il sole, coniugi incartapecoriti, costumi d’epoca. C’è una colonia per disabili, ma il caseggiato è fatiscente, un po’ tetro, con panni stesi in un cortile spoglio, carrozzine abbandonate, equipaggiamento ortopedico dimenticato su un muretto. Il salmastro è corrotto da un vago odore di terra putrefatta. Non un luogo incantevole. Ma la zona è molto produttiva: vaccherie, barbabietola, coltivazioni di fragole e angurie. Ho voluto visitare il paese: un’incursione per il rettifilo della via Roma, tra costruzioni fasciste; poi un caffè in un bar oscuro da Saturday night, anche alle tre del pomeriggio.