martedì 8 luglio 2014

IL CORPO

Su Tiscali, un reportage fotografico in dieci lastre per scoprire il corpo di Ines Sastre che "cede davanti ai paparazzi". E ancora, una didascalia, "Un disastro chiamato Ines Sastre", che identifica l'attrice nella sua buccia d'arancia. Il pezzo sputtanante segna un riscatto per tante donne che, spessissimo, si vedono surclassate da simulacri ritoccati con Photoshop. Ma, in modo più subdolo, ribadisce l'Imperativo Categorico della perfezione, consacra una tara, soprattutto nelle più giovani. Ci sono responsabilità che meriterebbero disastri ben più seri di un po' di cellulite. http://spettacoli.tiscali.it/gallerie-fotografiche/Un-disastro-chiamato-Ines-Sastre/47833/

giovedì 19 giugno 2014

Giorgio Mario Bergamo

Sto leggendo "L'estate, forse" con gusto inaudito: è una prosa alta e "discriminatoria" che si sovrappone, quasi, alla vicenda, diventa il romanzo stesso. Più che scrittura difficile, un sentimento aulico senza concessioni alla fruibilità - una specie di memoir che forza la sintassi, la piega ai suoi bisogni fisici, di narrazione corporea e capricciosa, un po' viziata, perfino. Mi appaga molto leggere questa libertà stilistica: è come operare una decifrazione: il vocabolario sovrabbondante, principesco, mi sollecita di continuo a indagini etimologiche, come a misurare lo spessore della lingua adottata. E poi la materia: il ritorno dalla guerra, gli stenti della normalità coi ricordi del Fronte che ancora fumano; e Parigi, rue de Montmartre - l'occhio languido, la sensualità, la solitudine individuale che vaga per la Storia... Ho dato un'occhiata alla biografia di Giorgio Mario Bergamo, e si capisce meglio, forse, perché un libro così sia arrivato alle stampe, e da Einaudi. Ma tutto passa in secondo piano rispetto al godimento che ne traggo.

sabato 14 giugno 2014

Il Griso

Io so chi è il Griso: c'è una zona della mia psiche in cui egli ancora gironzola torvo, indisturbato e superfluo. Questo accade perché non ho "interiorizzato" Manzoni - e per il solo fatto di non essermene mai occupato. Nessuno, d'altronde, mi ha costretto ai libri: li leggo perché, intorno ai sedici anni, ho scoperto che alcuni soddisfacevano (in parte) la mia libido. Non dubito che taluni abbiano tratto un torbido gusto dai Promessi sposi, ma per quanto mi riguarda potrei leggere questo capolavoro solo dietro compenso.

venerdì 13 giugno 2014

La spartizione

Il riferimento a Boccaccio, in Piero Chiara, è spesso dichiarato anche in epigrafe ai suoi romanzi (“Il Pretore di Cuvio”, “Spartizione”), ma non è certo un omaggio erudito. È, semmai, la consapevolezza di percorrere una strada classica di narrazione pura e vitale, piena di gusto per i fatti umani: un Decamerone ridotto, provincializzato, in balia di una nuova piccineria ancor più comica, forse (perché è più miserabile e tragica), dell’originale . Anche qui, in riva al Lago, abbiamo una quotidianità scarna, cattolica, di vizi nascosti e ingobbiti. E tre sorelle, tre disgrazie che solo la parrocchia poteva accogliere. La turbativa è un uomo insulso come gli equilibri che è venuto a rompere: un abitudinario, un gretto fatto per l’iter della burocrazia in un’Italia già fascista. Si chiama Emerenziano: arriva, scruta, misura; e si mescola, tiepido, alla freddezza locale. Deciso a prender moglie, posa gli occhi sui tre sgorbi. Attratto dalla sorella di mezzo, Tarsilla (quella dalle gambe lunghe), sceglie la più anziana, Fortunata, la cui peculiarità sono i capelli lunghissimi; ma ha notato anche la più piccola, Camilla, il cui pezzo forte è rappresentato dalle mani. Si assiste così a una serie di magre schermaglie con inviti pretestuosi e stentata conversazione, e con pranzi noiosi a cui nessuno, preso com’è dai propri calcoli, si ribella. L’infelice metronomo della religione inizia a perdere colpi, e le possibilità della lussuria aleggiano, danno ai personaggi una certa svagatezza: li osserviamo cambiare poco a poco, tutti, finché non si raggrumano in una promiscuità incestuosa, miope, scandita da turni grotteschi. Ecco a notte alta quella taciturna sex machine di Emerenziano passare da una camera all’altra delle tre sorelle, calendarizzare il “dovere”, elargirlo con equanimità; e udiamo levarsi voci e giustificate malignità in paese... Il meglio di Piero Chiara è proprio in questa cronaca impietosa di banalità e camuffamenti, dove la macchietta sfugge per un istante al sorriso cattivo che suscita, e si rivela in tutta la sua sfortunata povertà, anche storica.

venerdì 6 giugno 2014

Stanchezze

I protagonisti di Arpino e Piovene hanno in comune di non aver voglia nemmeno di respirare.

giovedì 5 giugno 2014

Le stelle fredde

Continuo la panoramica sui narratori italiani del Novecento: Moravia, Chiara, Arpino, e oggi Guido Piovene. Preferisco la linearità di "Agostino" o il vitalismo beffardo de "Il pretore di Cuvio" alla stanchezza occidua de "La suora giovane" e all'ininterrotto piano sequenza de "Le stelle fredde": certi autori sembrano dimenticare che non si dà romanzo senza dei fatti (qualcosa che accada al di là dei pachidermici movimenti di vita interiore). Talvolta, scrivono pensando a Proust, e a una nauseata erudizione che nessuno ha loro imposto: hanno sgobbato sui libri per lamentarsene? Questo verboso accanimento, che si connota nello sfiancante esercizio descrittivo (onanismo), è una buffa ritorsione: pongono al centro della loro opera una sofferenza accademica, e, incapaci di elaborarla, tentano di elevarla a una condizione di spleen contemporaneo. Tanti minori, a ben guardare, è giusto che restino tali.

lunedì 2 giugno 2014

LA CHIAVE

Sulla finezza psicologica di Tanizaki si è scritto fin troppo, e la scena di questo famoso romanzo è nota: il professore svigorito che arranca in camera da letto; la moglie insaziabile ma pudica, che poco a poco sveste il kimono della tradizione nipponica per manifestarsi in tutta la sua lussuria occidentalizzata; la loro figlia, che dietro l'ostilità opera come una ruffiana e sacrifica il suo promesso sposo, Kimura, Terzo-comodissimo giovane amico di famiglia, caduto anch'egli a fagiolo in questa crisi coniugale (che è, anche, una metafora del Giappone antico). La Chiave, di fatto, mette in rapporto quattro psicologie in costante dissimulazione erotica: quattro maniaci sessuali, con la donna subordinata al progetto del maschio (in chiusura, ci si avvede che la figlia ha operato dietro l'input del fidanzato attratto dalla suocera). L'intreccio elaborato non riscatta, però, la straordinaria goffaggine del libro, che ha per catalizzatore il Courvoiseir: il cognac ubriaca i coniugi e offre alla protagonista il pretesto per uno sfrenato imputtanimento. L'alterazione alcolica è la vera chiave (un passepartout morale, da scassinatore) che permette a Tanizaki di allestire il suo teatro feticista. Concesse le doverose attenuanti geografiche e storiche (anche rispetto a un De Sade, che centocinquanta anni prima non si metteva tutti questi problemi), il romanzo sfiora il ridicolo.

venerdì 30 maggio 2014

SHAME

La pellicola, elegantissima, trapassa il corpo opaco della pornografia, ritorna di continuo allo scempio di una completa distruzione affettiva; il volto nobile di Fassbender pare stagliarsi su un riverbero di luce ghiacciata. E' una deriva moderna di sessualità disperata e vorace che anela solo all'oblio (la storia delle dipendenze non è che questo subdolo soccorso della dimenticanza di sé: non pensare più). Qui si naufraga in un assillante carnaio di incontri, in uno sprofondamento masturbatorio che riempie il nulla quotidiano di orgasmi a ripetizione. La materia è pericolosa, ma il regista (che ha un nome ingombrante: Steve McQuenn) la affronta al di sopra di qualsiasi moralismo, con un tocco maschile finissimo, coraggioso, partecipe. Gli si perdonano volentieri alcune (poche) goffaggini, ineluttabili quando si rappresenta il coito: non c'è mai compiacimento, e i colpi vanno tutti a vuoto senza gusto né ammiccamenti. Più che erotizzati, ci si ritrova sgomenti, perfino commossi. La colonna sonora, poi, per una volta si eleva dalla melliflua sottolineatura, è una specie di drammatico ammonimento che tiene fisso lo sguardo di tutti su queste macerie di cuore impastate nello sperma.

mercoledì 28 maggio 2014

I PIACERI DELLA SCONFITTA

Gli italiani: dopo vent'anni d'improperi contro lo status quo e sanguinarie aspirazioni a farsi giustizieri, chi più di Grillo avrebbe potuto rappresentarli? E invece hanno guardato al suo Movimento con diffidenza, si sono a poco a poco abbandonati a una larvata ostilità che riversava nel loro portavoce il rancore accumulato. Si rallegrano, adesso, di una sconfitta che abbatte ogni contestazione al Sistema, e che di fatto lo celebra. E' opinione diffusa che siano bastati 80 euro per placare una rivolta mai scoppiata. Ma c'è di più: ci si identifica col Potere, e lo si difende a spada tratta, anche quando non lo si detiene. Per questo, al di là dei contenuti politici, l'Italia resta una Paese senza coraggio, né futuro.

giovedì 22 maggio 2014

Il labirinto

La schiavitù di cui parla Bataille col suo Labirinto è l’uomo ridotto a funzione, subordinato a una carriera elettiva che costituisca il suo Essere. Il fondamento ontologico coincide nella ragione sociale e l’investimento su se stessi è un conferimento al Tutto dell’Utile. In modo analogo a quanto fanno milioni di formiche rispetto all’industria formicaio. Partecipare a questo Intero significa in primis polarizzarsi nella specialità calandosi in una parte. Nietzsche aveva già piantato, per ammainarlo, il vessillo dell’Es sulla luna della Civilizzazione (un tetro allunaggio nell’ordine hegeliano, di Stato). Diventare cittadini equivale a limitarsi in quanto uomini, e Bataille stesso parla d’una svirilizzazione, laddove gli istinti di natura (compreso il Male) vengono sacrificati all’altare della moralità socratica (il Bene). L’istruttoria porta quindi in Grecia e al filosofo dell’oralità, che non vergò mai un’opera senza che quell’astenersi bastasse, vanificato dalla vulgata platonica, a dimenticare i suoi insegnamenti. Bataille è nietzscheano, certo, ma ben al di là dell’epigonismo. Riporta all’interno dell’Io, in una sorta di interiorizzazione dell’angoscia, i moti esterni dell’esser senza centro, senza patria, senza senso: senza Io, insomma, né Dio. Questo lutto è elaborato col mezzo erotico: laddove la sessualità è il campo di battaglia dell’angoscia, e l’amore una speranza d’integrità in cui riverbera il mito, l’arcaicità dell’incandescenza. Perciò si configura questo Eros che macera nei suoi angosciosi avvitamenti, e che poi scoppia in teatri di crudeltà, d’insulti amorosi e sputi, di riscatto e vendetta, d’impulso che strappa ogni remora e ritorna all’Intero – la gioia d’azzannarsi, l’ebbrezza di distruggersi.

mercoledì 14 maggio 2014

Il letto disfatto

Di Sagan, già letta nel suo celebre esordio. Mi appaga, sebbene la finezza percettiva non vada di pari passo con la scrittura. Ci sono idee, ma anche quell'astuzia che ne sa offrire parvenza. Certi passaggi risultano così scoraggianti da essere imputabili alla traduzione. Leggere autori stranieri significa dover concedere attenuanti. Forse anche per questo preferisco gli italiani.