sabato 12 dicembre 2015

Revolutionary Road

La materia è tremenda: coppia di marito e moglie anni Cinquanta, provincia americana insabbiata in conformismo e vicini di casa sorridenti e infelici, squallidi bar serali e vagheggiamento d’espatrio a Parigi, con promozioni aziendali in vista e lento disfacimento della speranza di fuga; uova strapazzate a colazione e piatti da lavare nel tinello inondato di sole; figli che danno una mera parvenza di movimento. E poi scappatelle in ufficio per il marito in gabardine, incomunicabilità e progressiva rassegnazione allo stallo, alla noia, a più deludenti amplessi che, peraltro, si rivelano gravidi di conseguenze: April resta incinta per la terza volta; a Frank, invece, si apre un futuro da dirigente. Insomma, i due rinunciano ai loro progetti europei – e il fatto che restino solleva amici e parenti immerdati nella più disperata routine: chi ha il diritto di ribellarsi a una vita monotona e insensata? Il film, solido nell’impianto, ben scritto, è affidato all’innegabile capacità degli attori, nonostante Di Caprio. Bravissimo il matematico appena uscito di manicomio, l’unico che avesse compreso la follia necessaria alla coppia per salvarsi, o per tentare di farlo – l’unico, cioè, a essere vivo. Bello anche il personaggio di April, interpretato da una Kate Winslet nevrotica nell’esatta misura storica di una casalinga frustrata: non vuole abbassarsi a diventare “vittima degli eventi”, ma fallisce. Sarebbe bastato questo, e l’aborto fai-da-te, per suggellare l’opera con maggiore sobrietà. La sua morte, invece, con lo strascico degli ultimi cinque minuti, banalizzano un po’ – in facile tragedia – il dramma più complesso della sopravvivenza alla mancanza di senso.

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