lunedì 7 dicembre 2015

Chiamatemi Francesco

L'età media in sala superava i settantacinque anni, con alcuni spettatori mutilati e altri che a fatica, in stampelle, raggiungevano il loro posto. Nella penombra, tra sibili e rantoli, mi è parso di vedere un macchinario per la respirazione artificiale già sistemato sotto una poltroncina. Quest'atmosfera da viaggio della speranza mi ha sorpreso. Mi aspettavo il solito filmone biografico, ma per tre quarti Lucchetti racconta la dittatura militare in Argentina. I desaparecidos, i pedinamenti, i pestaggi, il lancio dei corpi dall'aereo. I loschi discorsi di Videla, sottotitolati. Non mi sono annoiato, però intorno - in particolare durante il primo tempo - udivo un continuo soffocamento di sbadigli. Nella seconda parte, più breve, la sfumatura thriller ha impedito il crollo della cataratta. Tutti poi, in definitiva, aspettavano l'Habemus Papam, come se questo finale annunciatissimo potesse riservare delle sorprese. Io, in verità, ero interessato a un episodio della vita di Bergoglio, il Conclave del 2005 (quando il gesuita rifiutò la chiamata dirottando lo Spirito Santo su Ratzinger), che però è stato omesso.

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