lunedì 9 maggio 2016

L'ECLISSE di Michelangelo Antonioni

"L'eclisse" comincia dove finisce "La notte", con una donna e il suo non ti amo più: è passata da poco l'alba a Roma, e i due personaggi si lasciano dopo un confronto interminabile e dilatato, quasi venendo fuori da un punto morto di frasi sommesse, inconcluse, alternate a silenzi snervanti coperti dai giri di un ventilatore. C'è una profonda stanchezza in questa separazione, un esaurimento degli argomenti e dell'energia necessaria a formularli. I due avrebbero dovuto sposarsi di lì a poco, ma tutto va all'aria senza drammi, con relativa compostezza. Per Vittoria, in particolare, è un sollievo. Vorrebbe parlarne con la madre, assidua frequentatrice della Borsa, ma in quella bolgia delirante il suo senso di estraneità e di emarginazione si esaspera, perciò omette di annunciarle il fidanzamento appena troncato. Nella stessa circostanza incontra Piero (Alain Delon), un broker ipercinetico che mangia panini al volo e fuma in continuazione. L'opera si sviluppa fra questi due poli, gli spazi vuoti dell'EUR, con cantieri edili, fermate d'autobus nella tetra staticità residenziale, e il chiasso del centro storico di Roma, fra il mercato ortofrutticolo e quello delle azioni. Vittoria (nome beffardo) non prova alcun interesse per il denaro, è una natura contemplativa, astratta, vagheggia felicità indefinite, ma cova una sorta di disincanto; resta affascinata dalla primitività africana, o perlomeno da come gliene riferisce l'amica keniota di una sua vicina di casa. Questa nostalgia del tribale si evinceva anche ne "La notte", con la scena al night (il numero era affidato a due africani); e rimanda a un saldo negativo della civiltà tecnologica. In tutti i momenti notturni, la Vitti ha un bagliore selenico; e il contrasto, quando lei appare in un travestimento negroide con collare dorato, e si abbandona alla danza, è fortissimo. La relazione con Delon patisce una resistenza; buona parte dell'opera è incentrata su questo disorientamento, su un'intermittenza nevrotica del desiderio che sembra pronto a darsi, ma poi si nega. L'amore nasce un po' forzato nell'appartamento museale di Piero, fra arredi preziosi e ritratti d'antenati che, osservando la scena, conferiscono all'atto qualcosa a metà fra colpa e irrilevanza. Il senso metafisico dell'esistenza, inserita, "gettata" nella Storia, è dato dalla stessa Vitti quando si affaccia su una Roma che meriggia eterna e - appunto - alienante (alienazione è, senza dubbio e non a torto, la parola più spesso associata al cinema di Michelangelo Antonioni): parimenti alla tecnologia, c'è un peso, un'eredità umanistica che grava, che schiaccia l'individuo e lo azzera. Il broker ha trovato una sua dimensione nella Borsa; con semplicità (anche con povertà, in fondo) prova a suggerire questa medesima strada alla Vitti: all'inizio, spiega, è difficile, ma poi ci si appassiona. Lei, con brutalità, gli domanda: "Ci si appassiona a cosa?". Soldi, carriera e status symbol sottraggono, deprivano nell'esatta misura in cui sembrano aggiungere qualcosa. L'amore stesso, quindi, che senza alcuna spiegazione logica si era originato, senza una spiegazione deperisce, muore. Proprio la modernità, forse, con i suoi artifici, lo eclissa. La vita continua all'EUR, i luoghi degli amanti sopravvivono senza di loro: l'epilogo accenna a questa sparizione, con la gente che va al lavoro, che torna a casa, e i simboli sono ancora lì, un bastoncino che galleggia in un po' d'acqua stagnante, una donna che somiglia alla Vitti, ma non è lei. Un'altra giornata volge al termine, i fanali si accendono sulla strada.

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