giovedì 5 maggio 2016

LA NOTTE di M. Antonioni

Il Boom economico è osservato nei vuoti che lascia: la solitudine in coppia, nel traffico congestionato di Milano; o Jeanne Moreau senza meta per campi di periferia in cui si lanciano razzi artigianali. Aree urbane inquadrate dall'alto, panoramiche di sterrati, con ragazzi che si sfogano in vorticosi combattimenti. "La notte" è una pellicola storica, nel senso che rappresenta l'opera di scavo, e di svuotamento, esercitata dal Progresso, con l'individuo ridotto all'evanescenza e a un'inerzia spossata: l'uomo ha smarrito identità, certezze, perfino sentimenti. Sopravvive in una superficie che muta, contraddittoria, fra caseggiati, ruderi postbellici, grattacieli e ville fuori porta. Partecipa, lavora, conquista posizioni, si afferma - ma al tempo stesso fallisce. Il caso di Guido Pontani, il protagonista, è emblematico: scrittore sulla via della celebrità, si presta alla pantomima degli eventi culturali, un mesto trionfo mondano che non riesce a condividere nemmeno con sua moglie. Lei, annoiata, abbandona l'incontro alla Bompiani e finisce a Sesto San Giovanni. Poi telefona al marito per farsi portare a casa: grande appartamento borghese in cui sembrano disporsi, in una smorta geometria, i cimeli di un'avanguardia artistica residuale, costosa e fredda, che arreda senza comunicare. In questo tempio monotono dell'intellettualità e dell'agio inutile, i coniugi non hanno più nulla da dirsi. Quindi escono giusto per non stare in casa - prima un night con numeri da circo erotico, poi la Dolce Vita presso un industriale miliardario con piscina, cavalli, consorte logorroica radical-chic e figlia perspicace e disincantata (Monica Vitti), una ventiduenne che legge "I sonnambuli". Guido resta infatuato dalla ragazza, ma come sospeso fra questa apparizione di vitalità misteriosa, e di vizio, e la passività angosciata di sua moglie, che si aggira fra gli invitati, persa, il pensiero rivolto all'amico quasi-amante che sta morendo al settimo piano di un ospedale. Non c'è gioia nel divertimento; il benessere stesso rivela un guasto intrinseco che si trasmette e rovina tutto. Le ampie vetrate della villa riflettono una festa opaca, che sembra implodere nei suoi intrattenimenti chiassosi e demenziali. Una delle suggestioni visive più potenti è proprio questo sfocato sdoppiamento scortato dalla cinepresa, in perpetuo movimento: lente carrellate di simulacri, uno schermo dentro lo schermo degli "alienati", mentre fuori si abbatte l'acquazzone. Se Mastroianni è l'elemento rappresentativo di una crisi epocale, sempre sul piede dell'adesione, del rassegnato adeguamento; la Moreau, stupenda, è il femminino che intuisce, intravede, e prova a decidere: sarà lei a dichiarare la fine dell'amore. Anche se questo non basta più a scegliere, a farsi padroni del proprio destino.

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