martedì 3 maggio 2016

Antichrist

Willem Dafoe, che in passato era stato Gesù, qui è uno psicoterapeuta di Seattle convinto di fare miracoli: rappresenta tutti i valori fermi della razionalità onnipotente e della psicanalisi come scienza. Ha sposato una donna brutta e voluttuosa (il femminino ancestrale a sfondo ninfomane); e quasi a punire un erotismo movimentatissimo, il loro bambino cade dalla finestra mentre stanno facendo l'amore (prologo al rallentatore girato in bianco e nero, con il "Lascia ch'io pianga" di Handel). La tragedia determina nella Gainsbourg un'elaborazione del lutto "atipica". Dafoe non esita a licenziare il collega incapace ("atipico" implica un margine di inspiegabilità) e riporta a casa sua moglie dopo un mese di ospedale senza miglioramenti; insomma, la prende in cura nonostante in qualità di marito non potrebbe, né dovrebbe. Il menage d'appartamento, dove il senso di colpa imperversa, è terrifico: insonnie devastanti, attacchi di panico e fughe carponi in gabinetto, colluttazioni penose, grida, valanghe d'angoscia a tratti arginate da furiosi coiti che non servono alla causa. Dafoe è un professionista esperto, il suo postulato è che la paura vada affrontata di petto. Disegna una piramide da riempire con le ossessioni di sua moglie: l'obbiettivo è risalire fino al vertice. Cosa la spaventa più di tutto? La foresta di Eden, dove i coniugi hanno una casetta di legno per ritirarsi in estate: la Gainsbourg l'ultima volta ci è stata da sola col figlio, per comporre una tesi sulle streghe messe al rogo dall'Inquisizione. La piramide, poco a poco, si struttura. Dafoe è certo di poter risolvere il caso. Sottopone sua moglie a una serie di esercizi, anche di respirazione. Quando arrivano nella foresta sono Adamo ed Eva in tenuta da trekking. Lei non riesce nemmeno a camminare, il terreno scotta. Lui è categorico: non è vero, non scotta; è una somatizzazione bella e buona. La Gainsbourg però leva gli scarponi e scopre la pianta dei piedi ustionata. Poi, sfinita, si risposa sull'erba, si addormenta. Lui intanto gironzola e s'imbatte in una cerva col cucciolo morto ancora attaccato. Dafoe, da buon illuminista, sorvola su questo simbolo e, non di meno, sui messaggi sinistri che Eden gli sussurra in continuazione. Anche la casetta di legno non si rivela un focolare sicuro. La notte il tetto spiovente è sferzato dalla caduta di migliaia di ghiande che reiterano all'infinito lo schianto del bambino. Il vento soffia tra gli alberi, una finestra si spalanca - e la Gainsbourg non ha dubbi: è il respiro di Satana. Ma suo marito non batte ciglio, insiste a programmare una terapia razionalistica, step by step. Dispone nel prato antistante due pietre, partenza e traguardo, e impone a sua moglie di compiere il percorso. La Gainsbourg, incoraggiata e scortata passo passo, riesce nell'impresa, senza bruciarsi. I due, felici, si abbracciano. Ma subito dopo, da una quercia, precipita un pulcino morto e già brulicante di formiche; e un'aquila nera, maestosa, si fionda per assicurarsi quel fortuito pasto. La Natura è maligna, e il bambino non smette di cadere dalla finestra. Dafoe tiene in tasca il referto dell'autopsia - sale nella mansarda e trova una serie di illustrazioni macabre sulle torture a cui venivano sottoposte le eretiche. C'è un nesso con la strana deformazione che hanno riscontrato nei piedi del bambino? Osserva con attenzione le foto scattate in estate (madre e figlio nella veranda). In tutte, il piccolo ha le scarpe invertite. Ora Dafoe, per la prima volta, avverte una certa inquietudine accanto alla moglie. Lei se ne accorge e gli pianta un paio di forbici nella schiena. Si accapigliano fino all'amplesso - lei d'improvviso si sottrae, e lo ferisce esplicitando - in termini freudiani - la nota invidia per il pene. Che eiacula sangue. Dafoe, svenuto, è un cristo pronto alla sua croce. La Gainsbourg gli buca una gamba con un trapano a manovella, poi gli fissa alla caviglia una mola, e getta via la chiave inglese. Questo non basta a fermare il razionalismo di suo marito, che trascinando l'arto zavorrato si infila in una tana. E' l'epilogo di una schizofrenia che ormai dilaga, con la donna anticristo prima a caccia del maschio, poi pentita (come ci si pente di un aborto). La ragione mascolina ha la meglio: Dafoe strangola la strega e la brucia in un rogo barocco. Il film si chiude con Adamo che scende per la foresta di Eden, mentre una folla che moltiplica Eva gli va incontro, lo accerchia. Il conflitto uomo-donna, esasperato in un horror depressivo (psichiatrico) elegantissimo e pieno di suggestioni filosofiche, è forse il capolavoro di Von Trier. Un'opera intollerabile che rivela tutta la poesia del male, la sua origine misteriosa affidata a un'ipotesi che ha lo sguardo, e la follia, di una donna.

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