venerdì 6 novembre 2015

Il cigno nero

Non mi è dispiaciuto, nonostante gli effetti speciali inadeguati. Rappresentare la distorsione allucinatoria di una crisi schizofrenica era, sì, difficile, ma il collo di Mila Kunis che si allunga (modello Tiramolla) sconfina nel grottesco. Non dubito che si potessero evitare simili goffaggini - insomma, strangolarla senza farci ridere. L'insieme, comunque, fila. La Portman sottopeso, debilitata Nina Regina dei Cigni, è "perfetta"; dà sfumature da anima bella alla sua ballerina coi piedi martoriati dallo stare in punta. La maniacalità degli esercizi, l'ossessione tecnica, quel delirio tipicamente russo, da Teatro Bolshoi (un posto dove, in effetti, non mancano gli assassini), è ben trapiantato a New York, con un direttore artistico (Vincent Cassel) che per tirare fuori il cigno nero dalla purezza bianca (e frigida) di Nina, la invita a masturbarsi. Il passaggio intermedio, infatti, è il rosso della carnalità. Una specie di preliminare che innesca manie di possesso, gelosia e, finalmente, paranoia. La rivalità con la disinibita Kunis (il sesso a base di alcol e pasticche) è strumentale per la scoperta di un mondo più sanguigno, in cui le astrazioni figurate del balletto precipitano negli istinti di una coreografia da improvvisare al momento. Il dualismo è visto in termini di proiezione narcisista: l'odio per la Kunis è odio per se stessa e, al contempo, amore, desiderio di aversi. Il climax, non a caso, è anticipato da una scena lesbica (immaginaria) fra le due ragazze. Su tutto il palcoscenico del disturbo psichiatrico c'è lo spettro della madre di Nina, aspirante pittrice che scarabocchia mostruosi ritratti della figlia. Una madre sorvegliante squilibrata, che assilla e coccola in un subissamento di apprensioni e pupazzetti rosa. Il rifiuto di questa dimensione infantile soffocata dai peluches è ben rappresentato quando Nina li getta in massa nella spazzatura - un caso esemplare di lucida follia che la conduce alla Prima in uno stato "pericolante". Va in scena lo stesso e si vive, in parallelo, il suo Lago dei cigni con terribili allucinazioni, soprattutto in camerino, dove ha nascosto il cadavere (immaginario) della Kunis. In realtà, il pezzo di specchio è conficcato nel suo ventre. Ma lei balla e vola lo stesso, perfetta, in una radicale identità col ruolo. Qui il film decodifica a un livello commerciale-divulgativo un principio artistico di base: il vero artista non recita, è.

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