giovedì 19 febbraio 2015

Il pene quotidiano

Il romanzo analizza la dimensione femminile nel momento dell’abbandono: il “che cos’ha lei più di me”, l’isterismo sboccato, l’introspezione ossessiva, lo smarrimento, la graduale accettazione che scivola in disincanto, con l’ineluttabile condanna del maschio (egoista, poligamo) e dei sentimenti in generale (pantomima finalizzata al sesso). È un’operazione accorta, che ripercorre i luoghi comuni della rinuncia casalinga: la donna cede il passo alla madre, la carriera affonda nelle sabbie mobili della famiglia. Il tema, serio, non lascia mai questo sentiero già tracciato. Il che induce a facili immedesimazioni, in contesti quotidiani, comuni, dove le ambizioni giovanili e il culto del sex appeal s’infrangono contro incombenze domestiche indefettibili: la caffettiera sul fuoco, il cane da portare ai suoi bisogni, un figlio che vomita: tutto, in questa realtà del focolare, ha la precedenza sui sogni. Come può, una donna, non abbrutirsi? È il suo stesso sacrificio che la fa tramontare. E lui, il marito, il banalissimo Mario, cerca un nuovo inizio con una donna più giovane – solo per ripetere, forse, un ciclo erotico prestabilito, fatale. Il libro ha venduto, e se n’è tratto un film. C’è un buon dispiegamento del discorso, con una sporadica comparsa di trovate linguistiche e immagini “letterarie” in un insieme, tuttavia, modesto. Spiace la sproporzione tra l’appiattimento di certe dinamiche psicologiche, ridotte a mera “genitalità”, la sciatteria bisillabica di «fighe», «cazzi», «culi», e il rilievo prolisso, un po’ noioso, dato alla manualità delle faccende svolte “con la testa altrove”. È la distrazione improvvida della madre affranta che immagina suo marito «fottere» con l’amante... L’esito materialista, brutale, basso, è offerto saltando a piè pari un itinerario di elucubrazioni più elevate, a maggior ragione se si considera che la protagonista ha velleità da scrittrice.

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