giovedì 5 febbraio 2015

Crash

Il romanzo è ripetitivo, a tratti noioso, forzato nella dimostrazione della tesi che lo ispira: l’investimento (…) erotico sull’automobile come estensione più o meno metaforica del corpo (insieme di particolari anatomici), e come teatro elettivo dell’atto sessuale. Sarebbe stato più opportuno – credo – farci un saggio, anche per analizzare con modalità più oneste la disumanizzazione tecno-pornografica, la deriva gelida di un’idea fissa che, girando e avvitandosi su se stessa, dimentica l’Altro, collassa in una lugubre solitudine di progetti meccanici (incentrati, di fatto, sulla morte). Nella postfazione, la parte più interessante del libro, Ballard svela tutta la serietà dei suoi intenti – ma questo non basta a salvare l’opera, che vive di picchi isolati, perlopiù clinici, con relativi geyser di sangue, vomito, sperma e liquidi di raffreddamento. La psicopatologia, è vero, amplia il panorama umano e culturale, purché non ci si limiti a descrivere una mera casistica (ossessiva, inerte) e si affronti l’intera dinamica eziologica restando comunque dentro codici umani. Solo così, da lettori, possiamo risalire alle cause, ai patimenti “scatenanti”. Il romanzo è una forma di umanismo, anche se i mezzi per esprimerlo cambiano. Ma i personaggi di Crash somigliano a robot, o terminali erotici, e nessuno, nemmeno chi abbia questo tipo di sessualità, può davvero comprenderli.

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