lunedì 2 giugno 2014

LA CHIAVE

Sulla finezza psicologica di Tanizaki si è scritto fin troppo, e la scena di questo famoso romanzo è nota: il professore svigorito che arranca in camera da letto; la moglie insaziabile ma pudica, che poco a poco sveste il kimono della tradizione nipponica per manifestarsi in tutta la sua lussuria occidentalizzata; la loro figlia, che dietro l'ostilità opera come una ruffiana e sacrifica il suo promesso sposo, Kimura, Terzo-comodissimo giovane amico di famiglia, caduto anch'egli a fagiolo in questa crisi coniugale (che è, anche, una metafora del Giappone antico). La Chiave, di fatto, mette in rapporto quattro psicologie in costante dissimulazione erotica: quattro maniaci sessuali, con la donna subordinata al progetto del maschio (in chiusura, ci si avvede che la figlia ha operato dietro l'input del fidanzato attratto dalla suocera). L'intreccio elaborato non riscatta, però, la straordinaria goffaggine del libro, che ha per catalizzatore il Courvoiseir: il cognac ubriaca i coniugi e offre alla protagonista il pretesto per uno sfrenato imputtanimento. L'alterazione alcolica è la vera chiave (un passepartout morale, da scassinatore) che permette a Tanizaki di allestire il suo teatro feticista. Concesse le doverose attenuanti geografiche e storiche (anche rispetto a un De Sade, che centocinquanta anni prima non si metteva tutti questi problemi), il romanzo sfiora il ridicolo.

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