giovedì 19 giugno 2014
Giorgio Mario Bergamo
Sto leggendo "L'estate, forse" con gusto inaudito: è una prosa alta e "discriminatoria" che si sovrappone, quasi, alla vicenda, diventa il romanzo stesso. Più che scrittura difficile, un sentimento aulico senza concessioni alla fruibilità - una specie di memoir che forza la sintassi, la piega ai suoi bisogni fisici, di narrazione corporea e capricciosa, un po' viziata, perfino.
Mi appaga molto leggere questa libertà stilistica: è come operare una decifrazione: il vocabolario sovrabbondante, principesco, mi sollecita di continuo a indagini etimologiche, come a misurare lo spessore della lingua adottata.
E poi la materia: il ritorno dalla guerra, gli stenti della normalità coi ricordi del Fronte che ancora fumano; e Parigi, rue de Montmartre - l'occhio languido, la sensualità, la solitudine individuale che vaga per la Storia...
Ho dato un'occhiata alla biografia di Giorgio Mario Bergamo, e si capisce meglio, forse, perché un libro così sia arrivato alle stampe, e da Einaudi.
Ma tutto passa in secondo piano rispetto al godimento che ne traggo.
Etichette:
Giorgio Mario Bergamo,
lezioni stilistiche
Ubicazione:
Cagliari, Italia
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