lunedì 7 novembre 2016

PASTORALE AMERICANA di P. Roth

Bisogna domandarsi se a Newark, per esempio, leggerebbero un romanzo ambientato nel nord-est d'Italia, incentrato su un'epopea di artigiani divenuti imprenditori, gente immigrata dal sud, supponiamo, che ha cominciato in una botteguccia per approdare in fabbrica, patriarchi che hanno sacrificato i loro anni migliori sgobbando con fiducia pur di tramandare ai loro figli un mestiere e una coscienza nell'esercitarlo; e poi figli oramai sistemati, anzi ricchi, che hanno capitalizzato anzitutto questo insegnamento, che hanno ereditato una quasi-multinazionale in cui l'operaio è non solo rispettato, ma in certo qual modo sacro, e il lavoro stesso una liturgia che produce sì profitto, ma etico, con manufatti in cui ogni dettaglio è curatissimo e che al solo acquistarli ti si allieta il cuore. A corredo della pastorale nord-est abbiamo lo sport, la provincia, la scuola e la parrocchia: un romanzo italiano in cui si metaforizza il calcio, cioè l'allenamento per la vita, parecchio descrivendo i ruoli di gioco (terzino, centravanti) e il gesto tecnico (calciare tenendo il corpo all'indietro e non beccare mai la porta); si metaforizza la strada, quei luoghi interiori così legati alla fanciullezza dei primi baci e delle risse un po' romantiche, con tanto di quartieri affettuosi, periferie in cui già cova la futura violenza, nomi di vie e piazze, lunghi itinerari da casa fino all'oratorio di San Giuseppe: sole sui tetti dei palazzi in costruzione, sole che batte sul campo di pallone, etc. Come la prenderebbero a Newark? Leggerebbero dello sfaldamento di questo Piccolo Mondo Antico e di come a incrinarsi sia per prima la famiglia, con la repressione in extremis dell'incesto, con Edipo che a volte si piega ai voleri di papà, per identificazione passiva, altre volte si ribella e gli cava gli occhi, magari per sbaglio? Insomma, non soltanto politica, ma psicologia, relazioni, e quindi tradimenti. La decadenza morale sancita, a livello generale, dalla purga del Sessantotto, quando i sindacati cominciano "a metterla giù pesante" con i diritti, e gli operai, di riflesso, si impoltroniscono. La qualità dell'industria, poco a poco, va in malora. I nipoti della quarta generazione non vogliono più studiare, né lavorare, improvvisano carriere eversive e alla fine ci scappa il morto. Questo romanzo italiano avrebbe un grande successo di critica a Newark e nel resto d'America, se ci fosse dietro lo stesso editore di Pastorale americana, e lo stesso apparato culturale teso a enfatizzarne i temi, la complessità di visione che li concatena in un tutto organico. Sia detto non per sminuire il lavoro di Roth, che è buono, ma per rilevare che il suo libro ha goduto di una spinta ENORME se ancora si sospira, sfogliandolo, con la parola "capolavoro" a fior di labbra. Possibili tag: intellighenzia ebraica, New York, Vietnam, Partito democratico, Sessantotto, baseball, famiglia, integrazione religiosa, mondo operaio nella sua genuinità. No, non è un capolavoro. E' un romanzo dall'impianto tradizionale, nonostante i piani temporali sfasati da anticipazioni e flashback, con un narratore onnisciente che fa capolino e versa sul piatto dei lettori il sugo della storia. Una specie di Manzoni yankee ebreo deciso a una seria autocritica nazionale. Uno che più che filosofare si propone come filosofo, e getta l'ombra ingombrante dell'Io-penso-che su ciascun personaggio - tutti oratori impetuosi che costringono l'interlocutore ad ascoltarli in silenzio per due o tre pagine. Un americano, al solito, "dannatamente" vanitoso, che ripropone la vecchia ampia falcata da romanzo europeo ottocentesco, divulgativo, politico, artigianale, botanico, psicologico. Uno che ritiene d'aver capito il fallimento dei tempi, e vorrebbe darci una lezione. Anche di baseball.

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