mercoledì 16 novembre 2016

BENEDIZIONE di K. Haruf

Romanzo amatissimo su aNobii, è perlopiù un monotono bollettino, una cronaca di provincia con gretti paesani, zitelle, coniugi divisi fra la croce della monogamia e quella dell’adulterio; più una bambina taciturna e un reverendo incompreso. Si legge con blando interesse, registrando dialoghi strumentali che informano il lettore su tutto il pregresso. I tempi narrativi risultano sfasati: l’azione repentina di uno schiaffo, per esempio, “telefonata” in una sorta di moviola; ogni colpo di scena smorzato nella generale prevedibilità della vicenda. I sentimenti dei personaggi sono dichiarati, per cui manca qualsiasi tensione; i rapporti seguono una linearità deprimente, ancor più depressa nella prosa-telegrafo (soggetto predicato complemento) che si anima soltanto in alcune descrizioni paesaggistiche. Ma la pianura, la sua tremenda aridità, offre pochissimo anche in questa direzione. Quindi si assiste all’agonia di Dad, il burbero proprietario della ferramenta, sperando che Haruf non la tiri troppo in lungo. E, invece, il pover’uomo non muore mai, vegliato da una moglie devota e da una figlia che non riescono a spingere le loro elucubrazioni luttuose oltre i confini di una soap. L’immedesimazione e il pathos in ultimo trovano appiglio nell’irregolarità respiratoria e nei rantoli; mentre il corpo inizia a coprirsi di lividi e gli occhi, al di qua e al di là del capezzale si fanno lucidi. E la fine, sì, è davvero una benedizione.

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