mercoledì 26 ottobre 2016

LE CONFESSIONI di R. Andò

Non mi è parso granché significativo, retto a malapena dall'efficacia di Daniel Auteuil e Toni Servillo - il primo direttore del Fondo monetario internazionale, il secondo monaco certosino. La scena è una sorta di Bilderberg ristretto in cui è prevista la "ratifica" di una manovra economica spietata che eliminerà diversi stati europei (anche l'Italia, par di capire). L'impianto moraleggiante tradisce, nella migliore delle ipotesi, una certa ingenuità, con ministri malvagi che confabulano nuotando in piscina e qualcuno, va da sé, che sussurra i propri rimorsi e potrebbe vedersela brutta. C'è anche una rockstar, e un'autrice di libri per bambini che fattura più della Barilla. Lo stesso Servillo è uno scrittore, maitre à penser del cattolicesimo all'antica o, per estensione, alla Bergoglio - si potrebbe ipotizzare una teologia della liberazione con Scampìa al posto di Buenos Aires, e quindi la fissa marxista dei poveri e dei reietti trasferita in questo albergo metafisico del Capitalismo, dove i cattivi la subiscono controvoglia e si inaspriscono (perfino tra di loro). Il tedesco, sempre un po' nazista, si porta dietro un cane nero; c'è anche la Clinton in video-collegamento perché - ecco il giallo - il direttore del Fondo monetario internazionale si è suicidato dopo un colloquio notturno col monaco. A rigore è stata una confessione, e quindi, per non saper né leggere né scrivere, il monaco ormai sa troppo. La trama sviluppa l'ostinato silenzio di Servillo, e le esitazioni di alcuni invitati fra i quali brilla - per incertezza - il solito italiano mezzo pentito. Il sugo della storia è nella manovra che salta, perché l'italiano fa il cattolico e gli altri cedono alla forza dello spirito certosino, paragonabile al canto di un uccello rarissimo che impone l'ascolto alla natura intera. Alla fine, in rappresentanza di Dio, il monaco celebrerà il funerale di Daniel Auteuil, il Male. Va detto che sughi della storia affidati a un monologo, nella fattispecie a un'omelia, sanno spesso di fumo, ci dicono che la pentola s'è bruciata. Era brutto Chaplin che tirava le fila in "The great dictator", e non è bello Servillo che parla al vento e se ne va (insieme al cane tedesco, perfino lui redento e ribattezzato "Bernando").

martedì 25 ottobre 2016

DALL'ELLADE A BISANZIO di A. Arbasino

Non è il libro della nostra vita; bisogna leggerlo avendo Google vicino, così si apprenderà senz'altro qualcosa. Aneddotica da salotto letterario, anzitutto, ma snobbando il salotto in sé, e anche i suoi ospiti. Da qui, la vaga antipatia riscossa qua e là da Arbasino - pur sempre uno che già nel 1960, trentenne, molla Roma alle Olimpiadi e se ne va in Grecia con gli amici. Il suo umorismo da dandy a tratti è odioso: vi riverberano (esageriamo, tanto non si offende) matinée di sciacallaggio nozionistico fra teatranti romani e professori, lunghi pomeriggi di ozio regolamentato da un istitutore, e magari la lampada Gallè sui tomi antichi imprestati dal cardinale amico di famiglia. Insomma, se uno brama lo scrittore che viene dal basso, quello che sfila la tuta da metalmeccanico e, dopo una bella doccia, siede al suo tavolo per riscrivere "Cronache di poveri amanti" senza punteggiatura, deve subito buttare via questo libro. Tutto sommato può farlo anche chi crede nelle gerarchie dello spirito e negli scrittori in scia Zarathustra. Qui non si rischia l'abbaglio del genio, ma al più una bella sghignazzata, all'incirca una ogni tredici o quattordici pagine (forse troppo poco per insistere?). In passato avevo letto con gusto "Specchio delle mie brame" e con divertimento via via decrescente "Super Eliogabalo". Su Wikipedia scopriamo che Arbasino si reputa uno scrittore espressionista. Mi sembra corretto, se consideriamo che il suo intero apparato compositivo si occupa di esteriorità: è un coreografo, uno stilista, un arredatore.

Tre film di Valerio Zurlini

La prima notte di quiete, Estate violenta, La ragazza con la valigia. Elementi in comune: la malinconia della provincia con i suoi fallimenti inappellabili; i treni e gli addii alla stazione (di Rimini, di Riccione); gli amori senza speranza per differenza d'età e/o di censo; lo sfondo storico per una vicenda - stringi stringi - amorosa. In "La prima notte di quiete" Alain Delon è un professore di liceo che s'innamora di un'alunna bellissima ma irrequieta (un po' di eufemismi non dispiacciono mai). Lui è un poeta in incognito, con un brutto cappotto che ricorda, in peggio, quello di Marlon Brando in "Ultimo tango a Parigi". Disinteressato alla politica e ai movimenti studenteschi del Sessantotto, fuma in classe leggendo enormi quotidiani e, in generale, esprimendo un decadentismo di ritorno, forse per il padre morto in guerra a El Alamein, forse per una cugina sedicenne, e suicidatasi, alla quale ha dedicato un libercolo di versi. Ha una moglie che trascura per giocare a carte di notte, e la relazione extraconiugale con l'alunna irrequieta, peraltro già legata a un boss locale, rappresenta l'ineluttabile vicolo cieco. In "Estate violenta" il protagonista è J.L. Trintignant: figlio di gerarca e raccomandato in tutto, ma sensibile, fra vitellone e anima bella, insomma fascista per inerzia, con discrete potenzialità nell'ottica di un'abiura che, nel luglio del 1943, comincia a sembrare più che ragionevole. Fatto sta che il giovane imboscato perde la testa per una vedova (la mamma di Alain Delon?) e inizia a corteggiarla nello stabilimento balneare che frequentano. Vanno insieme a San Marino per comprare caffè alla borsa nera, sono attratti fortemente e, dai e dai, si mettono insieme. Ne segue uno scandalo, perché lei potrebbe essere (quasi) sua madre, etc. Quando cade Mussolini, tutto precipita, anche perché Trintignant non può più sottrarsi alla chiamata alle armi. E'il problema della partecipazione nel decadentismo di Zurlini, Alain Delon renitente a sinistra, Trintignant a destra. In mezzo, nel parmense, c'è una villa patrizia e "La ragazza con la valigia", Claudia Cardinale (convincente). Viene a cercare il rampollo che l'ha sedotta e abbandonata, e trova invece il fratello minore, sedicenne (come la cugina di Alain Delon), interpretato da Jacques Perrin, cioè un Trintignant nobilitato (un conte?), ancora più garbato nei modi, più puro, e vergine. La Cardinale, invece, è una cantante di confine, tra avanspettacolo e prostituzione. Tutti, prima o poi, inspiegabilmente, le allungano un po' di soldi per levarsela di torno; e lei, quando vede quelle buste, spera sempre che all'interno ci sia una lettera d'amore. Il disastro con il signorino che tenta di rimediare, magari con pretesto cattolico, alla porcheria del fratello, è già alle porte. Perrin, infatti, è troppo inesperto per non farsi travolgere dalla sfortuna della Cardinale. E comincia, di fatto, a mantenerla. La sfumatura psicologica, l'accurata tessitura dei rapporti è senz'altro il punto di forza di questo cinema dell'individuo, dei sentimenti, di un'intimità rivelata, bisogna riconoscerlo, con finezza. Nell'ordine di preferenza: 1°) Estate violenta (ma il titolo è bruttissimo) 2°) La ragazza con la valigia 3°) La prima notte di quiete

sabato 22 ottobre 2016

AVE, CESARE! di J. e E. Coen

Parodia ispirata del conformismo americano, con miserie nascoste sotto il tappeto e facciata hollywoodiana: il cinema è protagonista tanto nell'ambientazione (studios, set miliardari, attori viziati) quanto nei contenuti, con una realtà irrimediabilmente distorta dalle proprie finzioni, e con la missione morale yankee, una specie di grandioso imperativo categorico della lealtà al capitalismo e del destino cristiano, che rappresentano il pilastro della propaganda anticomunista. Tutto è ridicolizzato, a cominciare dall'eroe, Eddie Mannix, che dirige una major e si occupa di tenere pulita la reputazione delle star. Questo sporco lavoro lo porta spessissimo lontano dalla famiglia, e lo induce a disattendere la promessa fatta alla moglie: smettere di fumare. Eddie scrocca di continuo sigarette e va a confessarsi con frequenza compulsiva. Il suo dramma interiore, lacerato da puerili bugie e omissioni, è uno degli elementi più divertenti dell'opera. Il nemico, in piena guerra fredda e a ridosso della caccia alle streghe, è costituito da un manipolo di sceneggiatori risentiti, guidati dall'ideologo prof. Marcuse. Costoro ordiranno il rapimento del divo Withlock (George Clooney) provocando l'interruzione delle riprese di un kolossal sulla vita di Gesù. Il covo eversivo è una casa a picco sull'oceano in cui si effettuerà il solito mellifluo, sovietico, lavaggio del cervello, senza che il divo sprovveduto opponga la minima resistenza. E' in questo frangente che si delinea al meglio la funzione redentiva dell'eroe Mannix, che i fratelli Coen inquadrano nella grottesca comicità (ma, implicitamente, nella violenza ottusa) della Reazione.

venerdì 14 ottobre 2016

Il tempo della gentilezza

Il tempo della gentilezza non è finito. Proclamare un nuovo interventismo, non tanto rivolto alla politica, quanto all'imbecillità della cultura, sarebbe uno dei soliti buoni propositi da aspirante "guerriero". Io assecondo una natura pacifica, anche una certa pazienza - un po' malevola, a dirla tutta. Non sono programmato per andare all'assalto; ma spero di avere il tempo per dimostrare che ho ragione, e che questi scolaretti, questi primi della classe, non sanno nulla della vita, nulla dell'umanità. Si dicono ammaliati dai poeti, dalla troia dagli occhi ferrigni, ma una "troia" non l'hanno mai guardata in faccia: erano impegnati con la tesi. Scrivono recensioni per sbandierare ai quattro venti la loro delicata sensibilità, e invece hanno solo una lista di opere (altrui) da depennare. Viaggiano, girano per mostre e festival senza imparare nulla. Si sforzano in lungo e in largo, muovono leve a destra e a manca. Tutto però, invariabilmente, resta fermo.