martedì 17 maggio 2016

ALTROVE, FORSE di Amos Oz

Il romanzo ci porta dentro un kibbutz di confine presentando, per quasi duecento pagine, l'intera comunità: un caso di socialismo ebraico applicato, con episodi quotidiani, rituali, tresche, invidie più o meno latenti, e lo spauracchio arabo di là dei monti. L'insieme è un po' noioso, alla stregua del menage di pettegolezzi che descrive: l'arguzia di Oz, e la sua finezza analitica, innegabile ma discontinua, risultano insufficienti a reggere. Si va avanti per il credito letterario dell'autore, e in parte si è ripagati dall'entrata in scena di un "cattivo" che mette in subbuglio l'ordinaria piattezza della vicenda. Fin lì, la visione critica, ironica a tratti, dei principi fondativi, la fisiologica incongruenza degli ebrei di buona volontà, rischiava di far naufragare l'opera in un affresco di scontato realismo: il poeta Ruben che, abbandonato dalla moglie, infine cede a una relazione con una donna sposata; il marito di costei, Ezra, un camionista, che sembra accettarne l'infedeltà finché non seduce (o è sedotto) dalla figlia sedicenne di Ruben, e addirittura la ingravida. Lo scandalo, i risvolti di una vendetta che mina un intero sistema morale, rimanda di continuo alla moglie del poeta fuggita in Germania (cioè a casa degli assassini), e al destino ebraico inteso come sconfitta passiva, resa incondizionata, tanto alle "corna" quanto, a un livello antropologico e storico, alla ghettizzazione e all'Olocausto. Il cattivo, Siegfried, fratello di Ezra, giunto anch'egli dalla Germania, introduce l'elemento della strategia, della manovra senza scrupoli (desidera la ragazza, col pretesto di ricondurla dalla madre); una riaffermazione della volontà che spesso coincide con la smania distruttiva, col gusto di corrompere una purezza idealizzata (la purezza, di fatto, non esiste; a Mezudat Ram nemmeno i bambini sono puri). Oz, in questo kibbutz, propone un mondo che tende al miglioramento, con incidenti di percorso, fallimenti, derive - ma che, in linea di massima, progredisce. La chiave è l'amore, in senso profano, un respiro sentimentale che prende fiato dal perdono, e dalla libertà che implica perdonare. Il segno di questa scelta esprime, quindi, una certa fiducia nell'uomo; ma è ineluttabile che il risultato, una famiglia allargatissima, tradisca qualcosa a metà fra l'inverosimile e il consolatorio. La ragazza incinta si sposa col coetaneo Rami, innamorato fin dall'inizio; l'anziano Ezra si riavvicina alla moglie, la quale accoglie la giovanissima rivale in quanto figlia di Ruben (morto). Ogni personaggio, purgato da una sofferenza specifica (un lutto, una delusione) riconsidera le proprie convinzioni, le smussa pur di sopravvivere. Ma è una sopravvivenza che somiglia troppo all'accomodamento e ricalca i dettami di un lieto fine edificante. Va da sé, in Israele c'è bisogno anzitutto di questo - oggi non meno di quarant'anni fa, quando il libro è stato pubblicato.

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